(16 marzo 2025)
Dopo molti anni di "apertura" alla cittadinanza italiana, da circa due anni, specialmente con l'insediamento del nuovo Governo, si assiste ad una progressiva "chiusura" della cittadinanza e addirittura si discute se applicare dei limiti generazionali a questo diritto, che sino ad oggi non aveva limiti generazionali.
E' accaduto che in alcuni Stati sudamericani, ove è prevalente la presenza di discendenti di italiani, sono state presentate migliaia di domande di cittadinanza italiana, per ottenere il passaporto italiano, e quindi anche europeo. Queste domande hanno provocato uno squilibrio nei Consolati, i Comuni ed i Tribunali italiani, i quali si sono trovati impreparati a questo eccesso di richieste. La conseguenza immediata è stata che lo Stato ha aumentato la tassazione a tutti i livelli ed oggi si deve pagare sia per fare i certificati anagrafici degli antenati (300 euro), sia per fare la domanda al Consolato (600 euro), sia per fare la domanda al Comune italiano (600 euro), sia per iniziare il giudizio di cittadinanza (600 euro a persona, solo di tasse).
Il problema storico della emigrazione italiana degli anni 1800 e 1900, in cui emigrarono tra i 20 e 30 milioni di persone, in pratica quasi tutti i cittadini italiani, sembra come se sia stato cancellato dalla memoria nazionale, forse perchè si è trattato di una fase molto dolorosa.
A quei tempi, l'emigrazione era veramente rischiosa, il viaggio, che durava almeno 30 giorni per le Americhe. Una volta arrivati, ci si trovava come invasori, in una terra ove vivevano gli indigeni, che pure soffrivano per questa invasione dall'Europa (come noi oggi soffriamo l'invasione di altre etnie). Non esistevano le infrastrutture, per cui si sono dovute gettare le basi per le nuova città, dalle strade ai servizi pubblici.
I nuovi Stati sudamericani, ove era stata da poco abolita la schiavitù, ci accoglievano con favore perchè eravamo una madodopera qualificata, la maggior parte lavoratori esperti, che già avevano bonificato aree dell'Italia, pronti al lavoro duro. I nostri emigranti riuscirono a qualificarsi, farsi apprezzare, avere successo nel lavoro ed a volte anche ad arricchirsi, mentre in Italia l'aspettativa di vita normale era molto limitata, e le guerre erano all'ordine del giorno.
Ora, le nuove leggi che vorrebbero limitare la cittadinanza partono da un gravissimo presupposto, quello di considerare "stranieri" i discendenti dei nostri emigranti, i quali invece già possiedono la cittadinanza italiana per discendenza diretta, e quindi non dovrebbero neppure richiederla. I nostri emigranti, in realtà, costituirono delle vere e proprie Comunità di italiani al'estero, ricreando per quanto possibile le stesse tradizioni, la lingua, i costumi dell'Italia, anche perchè nei nuovi Stati la popolazione era divisa per stirpi, etnie, razze, le più diverse, e dunque non esisteva un linguaggio comune, ma tante lingue diverse.
Questa realtà fu accettata in Italia già con le Circoscrizioni estero:
La circoscrizione Estero venne istituita dalla legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1, che aggiunse un terzo comma dell'articolo 48 della Costituzione italiana. L'anno successivo venne fissato con ulteriore legge costituzionale, che andò a modificare gli articoli 56 e 57 della Costituzione, il numero dei parlamentari eletti per corrispondenza dagli italiani residenti all'estero: diciotto, di cui dodici alla Camera e sei al Senato..
In seguito, per dare seguito alle modifiche costituzionali, venne approvata la legge 27 dicembre 2001, n. 459, meglio nota come legge Tremaglia e il relativo regolamento applicativo (decreto del presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104). Il primo voto per corrispondenza della circoscrizione Estero avvenne in occasione dei referendum abrogativi del 2003, mentre i primi parlamentari furono eletti nelle elezioni politiche del 2006.
Dal 2016 anche gli elettori italiani che si trovino all'estero solo temporaneamente possono votare per corrispondenza: a tal fine devono inoltrare un'apposita istanza al proprio comune italiano di residenza entro i termini previsti dalla legge.
L'8 ottobre 2019 la Camera ha approvato definitivamente in quarta lettura la riforma costituzionale che dalla XIX legislatura ha ridotto il numero dei parlamentari, inclusi quelli eletti all'estero che sono passati da 18 a 12 (8 deputati e 4 senatori). La riforma è stata definitivamente approvata dal referendum costituzionale in Italia del 2020.
Ne segue che lo Stato italiano già considera importante la Comunità di italiani all'estero, e tale importanza è stata riconosciuta anche attribuendo uno specifico diritto elettorale agli "italiani residenti all'estero".
Fatta questa lunga premessa, in questa sede mi preme di rilevare che la Comunità di italiani all'estero non è mai stata abbandonata a se stessa, neppure dopo molte generazioni, ma che tra i due Paesi, Italia e Brasile, il fenomeno della emigrazione è sempre stato seguito a livello legislativo, per cui appare improprio rilevare che "dopo due o tre generazioni il legame di cittadinanza con l'Italia potrebbe essere considerato cessato" .
Su questo punto, poi, va detto che la maggior parte degli emigranti ha mantenuto i rapporti con la famiglia di origine, per cui se pure qualcuno ha perso i collegamenti con l'Italia, tuttavia li ha mantenuti con la Comunità di italiani all'estero, che costituiva il suo punto di riferimento sociale.
Infine, molti emigrati hanno mantenuto vivo e costante il loro legame con l'Italia. Chi tornava periodicamente in Italia, chi faceva visita ai parenti, chi manteneva la famiglia d'origine, specialmente i genitori anziani.
Sotto altro profilo, va considerato chi aveva delle proprietà in Italia, o ha ricevuto una eredità dopo 30-50 anni dalla partenza dall'Italia dell'antenato. Questi hanno ottenuto certamente dei legami giuridici e vantaggi materiali e non si potrà mai dire che per questi emigranti il legame con la Patria di origine è estinto o risolto, o cessato.
Il fatto stesso che dopo 3-4 generazioni il discendente richieda di recuperare la cittadinanza italiana, qualunque sia la causa, dimostra che quel legale con la Patria di origine ha continuato ad esistere e non è stato mai dimenticato.
A livello pubblicistico, questi sono i Trattati di amicizia tra Italia e Brasile.
L’emigrazione italiana in Brasile tra il XIX e il XX secolo è stata regolata da una serie di accordi internazionali che hanno influenzato il flusso migratorio e le condizioni degli immigrati. Ecco una panoramica dei principali trattati e accordi:
1. Trattato di amicizia, commercio e navigazione (1858)
Nel 1858, Italia e Brasile firmarono un trattato che regolava le relazioni diplomatiche e commerciali, includendo disposizioni relative alla protezione degli emigranti italiani in Brasile.
2. Convenzione di immigrazione (1876)
Con la crescente richiesta di manodopera per le piantagioni di caffè, il governo brasiliano avviò programmi di immigrazione assistita. Nel 1876 fu firmata una convenzione tra Italia e Brasile che incentivava l’arrivo di lavoratori italiani, spesso con il pagamento del viaggio da parte dello Stato brasiliano o dei fazendeiros (proprietari terrieri).
3. Trattato bilaterale del 1888
Dopo l'abolizione della schiavitù in Brasile (1888), il governo intensificò gli incentivi per attrarre immigrati italiani, offrendo terreni e facilitazioni per il viaggio. Tuttavia, le condizioni di lavoro nelle piantagioni si rivelarono spesso dure, con forme di sfruttamento simili alla servitù.
4. Blocco dell’emigrazione italiana (1902)
A causa delle dure condizioni di vita degli immigrati, l'Italia decise di limitare l'emigrazione verso il Brasile con il Decreto Prinetti del 1902, che vietava il finanziamento statale per i viaggi in Brasile. Questo ridusse notevolmente il flusso migratorio.
5. Accordi del periodo fascista (1920-1940)
Durante il regime fascista, l'Italia cercò di negoziare con il Brasile per regolamentare meglio l'emigrazione. Tuttavia, con l’ascesa di Getúlio Vargas in Brasile, il Paese adottò politiche più restrittive verso gli immigrati italiani, promuovendo l’integrazione e scoraggiando l’uso della lingua italiana.
6. Accordo di emigrazione tra Italia e Brasile del 5 luglio 1950
Vedi LINK: https://www.jstor.org/stable/43784943
7. Accordo di emigrazione tra Italia e Brasile del 9 dicembre 1960
Ancora nel 1960 l'emigrazione in Brasile era molto diffusa ed i due Governi si accordarono per regolamentare il fenomeno
8. Trattato di amicizia del 1954
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1954 venne firmato un nuovo trattato che rafforzava le relazioni tra i due Paesi, garantendo migliori condizioni ai discendenti degli italiani in Brasile.
La storia di questi Trattati dimostra che è stato lo stesso Stato italiano a mantenere vivi i rapporti tra Italia e Brasile sul tema della emigrazione.
Inoltre, questi Trattati dimostrano che gli italiani furono accolti favorevolmente in Brasile per circa 80 annni, dal 1880 al 1960, ed in questi anni è perdurata una assistenza reciproca e comunque l'attenzione statale verso il fenomeno migratorio è stata sempre elevata, gli emigranti non sono mai sati lasciati soli nè abbandonati a se stessi. Sotto questo profilo, ora non si potrà affermare che non esiste più il legame con la madre Patria.
Marco Pepe, avvocato in Roma