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DIRITTO DI CITTADINANZA 

CORTE DI CASSAZIONE, sentenza 19 settembre 2000 n.12411

In base al disposto di cui all'art.13 comma 1 lett. D della L.5 febbraio 1992 n.91 la cittadina italiana, che ha perso la cittadinanza italiana a seguito di matrimonio con cittadino straniero (nella specie, elvetico) , la riacquista dopo un anno da quando ha nuovamente stabilito  la residenza in Italia,  salvo che vi rinunzi espressamente.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con citazione notificata in data 17 giugno 1996 R. M.Geltrude, premesso di essere nata in Torino l'11 agosto 1928; di aver contratto matrimonio in Trana con il cittadino svizzero B. Oreste, con conseguente acquisizione della cittadinanza elvetica e perdita di quella italiana in base alla legge (n.555 del 1912) all'epoca vigente in materia; di dimorare in Italia nel Comune di M. (prov. Torino); di aver ricevuto in data 9 maggio 1995 dall'Ufficiale dell'anagrafe di detto Comune comunicazione, dell'avvenuto riacquisto della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 13, primo comma lett. d della L.5 febbraio 1992 n.91 per non avere manifestato la volontà di rinuncia alla stessa entro il termine previsto da detta norma (un anno dalla data in cui aveva stabilito la residenza "nel territorio della Repubblica"), conveniva dinanzi al Tribunale di Torino l'Amministrazione dell'interno in persona del Ministro in carica, per ivi sentir dichiarare che essa istante aveva mantenuto la cittadinanza elvetica senza riacquistare quella italiana. Precisava di aver manifestato la sua volontà in tal senso, che il suddetto termine doveva ritenersi ordinatorio e non perentorio e che l'ignoranza della normativa in questione era da ritenersi scusabile anche per il suo status di straniera. Costituitosi il Ministero, con sentenza del 27 giugno-12 luglio 1997, l'adito tribunale rigettava la domanda della Ratti.

A seguito dell'impugnazione promossa da quest'ultima, costituitosi il Ministero appellato, la Corte d'Appello di Torino, con la decisione in esame, confermava quanto statuito in primo grado, rigettando il gravame.

Ricorre per Cassazione, a mezzo la proposizione di tre motivi, la R., che deposita altresì memoria;

resiste con controricorso il Ministero.

MOTIVI DELLA DECISIONE. Con il primo motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2943, 2964 cod.civ., 13 della legge n.91 del 1992, 154 e 113 cod, proc. civ., e relativo difetto di motivazione, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto il termine in questione di carattere perentorio.

Con il secondo motivo si sostiene sia la violazione, sotto altro profilo, dell'art.13 della legge n.91 del 1992, e degli artt. 12 disp. prel. cod. civ. e 113, 115, 116 cod. proc. civ., e relativo difetto di motivazione, per avere la Corte d'Appello escluso che la ricorrente sia incorsa in un errore scusabile nell'interpretazione della L. n.91 del 1992, sia l'incostituzionalità del far "derivare effetti giuridici di decadenza dal non avere un qualcosa che non si sapeva di dover fare, sulla base di una presunzione di conoscenza di una normativa oscura, dubbia, e contraddittoria".

Con il terzo motivo si afferma la violazione, sotto ulteriore profilo, dell'art. 13 della legge n.91 del 1992 e dell'art. 113 cod. proc. civ., e relativo difetto di motivazione, per aver considerato la Corte di merito, sulla base di numerose circostanze processuali, che "l'esponente si è sempre comportata, da quando da quasi cinquanta anni orsono è divenuta cittadina svizzera, come tale".

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.

Deve, innanzitutto, osservarsi, riguardo al primo motivo, che l'attuale disciplina sulla cittadinanza italiana, di cui, in particolare, al richiamato art.13 della legge n.91 del 1992, ha sostituto alla previsione dell'art. 219 della legge 151 del 1975, in base alla quale, in virtù di un atto di autonomia negoziale, "la donna che, per effetto di matrimonio con straniero o di mutamento di cittadinanza da parte del marito, ha perduto la cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione resa all'autorità competente a norma dell'art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice civile", un sistema normativo di riacquisto ipso iure della cittadinanza fondata sulla ricorrenza dei presupposti obiettivi, integrati da esplicita dichiarazione di volontà e, per la fattispecie in esame, salvo "espressa rinuncia"; pertanto chi, come la ricorrente, ha perduto, per le leggi previgenti, la cittadinanza italiana, la riacquista per il solo fatto di risiedere da un anno in Italia, semprechè "entro lo stesso termine" (in tal senso appunto l'art. 13 lett. d L.91/1992) non manifesti una contraria volontà. Né inoltre, assume rilievo, nel caso in questione, l'art. 17 della stessa legge 91/19992, in quanto disciplinante esclusivamente le particolari situazioni di perdita della cittadinanza, e del suo eventuale riacquisto, di cui agli artt. 8 e 12 della legge 555 del 1912 (oltre quella di cui all'art. 5 della L. 123 del 1983 riguardante i figli minori) e non quelle di perdita della cittadinanza a seguito di matrimonio che, originariamente prevista dall'art. 10 di detta legge del 1912 (escluso dal richiamo di detto art. 17), è stata, poi, ancora specificamente prevista dalla relativa disposizione di cui all'art .219 n.151 del 1975, per poi essere definitivamente assorbita", come sopra esposto in premessa , nella generale previsione di cui, appunto all'art. 13 della vigente legge n.91/1992.

Ne consegue: a) che, come correttamente rilevato dai giudici di merito, in vicende quali quella in esame, il soggetto interessato a non riacquistare la cittadinanza italiana ha l'onere, inteso in senso tipico quale dovere di porre in essere un atto giuridicamente rilevante per la produzione di determinati effetti nella propria sfera giuridica, di espressa rinuncia all'acquisizione dello status civitatis; b) che il relativo termine per l'adempimento di detto onere (un anno dalla data di inizio della residenza in Italia), ai sensi degli artt. 2964 e 2966 cod. civ., è da intendersi rigorosamente di decadenza, in relazione alla quale è del tutto privo di fondatezza giuridica discorrere di distinzione tra ordinatorietà e perentorietà del termine, distinzione tra l'altro, non deducibile in sede di diritto sostanziale; c) che la prospettata questione di legittimità costituzionale, di cui alla seconda parte del secondo motivo, da esaminare in tale punto della decisione perché connessa a detta ipotesi di decadenza, risulta manifestamente infondata non solo perché genericamente formulata, senza specifica indicazione delle norme e dei principi costituzionali presumibilmente violati, ma anche, e soprattutto, perché trattandosi, nella specie, di diritti indisponibili la scelta del legislatore (con particolare riguardo al favor espresso nei confronti della cd. cumulatività) nel dettarne la relativa disciplina in modo conforme agli interessi pubblici dello Stato (che, tra l'altro, molto concede all' "intervento" del privato) è insindacabile e, comunque, in linea con le linee fondanti l'assetto costituzionale in tema di status della persona.

Del pari priva di pregio è la doglianza di cui al secondo motivo in tema di scusabilità dell'errore: in sede di disciplina civilistica, in quanto è soltanto ad essa che deve guardarsi, detta scusabilità è di natura eccezionale (si veda l'art. 2036 cod. civ. sull'indebito soggettivo) e, pertanto, può essere ritenuta parametro di valutazione per l'interprete in tema di errore solo ove esplicitamente prevista, contrariamente alla fattispecie in questione a cui non può che applicarsi il generale principio error iuris non excusat.

Inammissibile è, infine, la censura di cui al terzo motivo: con essa si prospetta nella presente sede di legittimità un non consentito esame di circostanze di fatto sul "comportamento" (da attività di tipo contrattuale al pagamento di imposte) della ricorrente quale cittadinanza svizzera.

Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensata tra le parti le spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M., la Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate le spese del presente guidizio.